Intervista a Bosso e Mazzariello

Intervista a Bosso e  Mazzariello. Serata sold out per l’apertura della nuova stagione di Macerata Jazz 2024/2025

Un ritorno atteso per i due artisti, complici sulle note di Pino Daniele.

Restano soffuse le luci del Teatro Lauro Rossi, quando a scandire i colori della sala sono le note di un sound-check ora dolci, ora più decise dei nostri primi artisti, Fabrizio Bosso e Julian Oliver Mazzariello, ai quali è affidato l’inizio di questa 55° edizione di Macerata Jazz. Gli animi fremono, ma nell’atmosfera resta la stessa cura di chi si sta preparando ad accogliere qualcuno a lui caro: è così che dietro le quinte di una scena pronta a incendiarsi della loro passione, incontriamo i nostri protagonisti.

Il concerto di questa sera apre le danze di una nuova edizione: sia come pubblico che come associazione, siamo affezionati alla presenza di entrambi alla nostra rassegna musicale…che effetto vi fa ritornare qui a Macerata? Lo possiamo chiamare un ritorno a casa?

Fabrizio: «Beh sì… avendo registrato tanti disco con Paolo Piangiarelli e suonato tanti concerti sia all’aperto che al Teatro Lauro Rossi, bazzico Macerata da trent’anni oramai ed è sempre un piacere ritornare a suonare, complici sia l’organizzazione fantastica di Daniele Massimi, che posso considerare un fratello, che la presenza di un pubblico veramente speciale, da cui ci sentiamo coccolati sin dalla prima nota. Felicissimo di essere qui quindi e penso sia lo stesso per Julian»

Julian: «Certo! Macerata mi dà sempre la sensazione che viva anche molto di Jazz, forse perché anch’io sono ritornato spesso qui con Paolo Piangiarelli…»

Fabrizio: «Sì infatti, poi durante il festival ci sono le foto di Carlo Pieroni in giro, quindi si respira in maniera veramente forte aria di Jazz»

Fabrizio, in un’intervista affermavi: «Quando si è in due non puoi permetterti di sconnetterti dall’altro musicista, devi sentire l’evoluzione del suo suono per poi entrare e suonare un tema […] perché sennò si uscirebbe dal gioco». Ecco allora volevo chiedervi, che significato ha per voi condividere questo tipo di esperienza lavorativa e che rapporto c’è effettivamente fra voi? Com’è nato, come si è evoluto e si sta evolvendo nel tempo?

Fabrizio: «Oltre il palco, c’è un rapporto di grande amicizia, complicità e fiducia, indispensabile per fare musica. È fondamentale rimanere connessi perché se si sta suonando e non ci si rende conto del percorso che il proprio compagno di viaggio sta facendo, quando si rientra si è sconnessi, come se si avesse perso la strada. In duo maggiormente, ma così come quando si suona in quattro, in dieci, l’obiettivo dovrebbe essere quello di rimanere tutti sulla nave, connessi, per raggiungere la meta. Se si è connessi, l’input che si lancia viene accolto sicuramente in maniera positiva da chi ti affianca, tanto da poterti aiutare a sviluppare quello che si ha in testa»

Julian: «Giusto…aggiungo solo questo, una cosa che poi dico sempre: anche se siamo in due e il pianoforte dovrebbe essere lo strumento che tecnicamente accompagna la tromba, io mi sento accompagnato da Fabrizio; mi sostiene anche quando non suona. È il fatto di esserci, è la sua presenza che mi arriva: non sono solo, anche quando io faccio il mio assolo»

Fabrizio: «É una complicità che si è sviluppata, che è maturata, maturando anche noi, però ovviamente il primo approccio è stato musicale e poi siamo diventati molto amici»

Sappiamo che questo progetto è il frutto di una collaborazione nata in occasione di una rassegna dedicata ai grandi autori italiani organizzata dal Maxxi di Roma, dove Ernesto Assante, direttore artistico, per poter rendere omaggio a un cantautore come Pino Daniele, il quale si definiva lui stesso più vicino ai musicisti jazz, che ai cantanti pop, ha pensato proprio alla vostra musica… avete un ricordo particolare di Ernesto, c’è qualcosa di lui che continua a risuonare in voi?

Fabrizio: «Sicuramente l’amore e il rispetto che lui aveva per la musica di qualità. Io conoscevo Ernesto da tanti anni e aveva sempre queste idee folli a volte, folli per gli ambienti che frequentava, ma sempre con questa volontà di fare bene le cose e giudicarle con grande obiettività, anche grazie a una preparazione musicale incredibile che spaziava dal pop, al jazz… Questo stesso nostro disco, questo progetto, è merito suo, perché è lui che ci ha lanciato questo input e noi anche un po’ per gioco, felicissimi di cimentarci in questo concerto, lo abbiamo accolto, senza pensare inizialmente a un seguito… ma funzionando così bene, poi è nato da sé tutto questo»

Il titolo del vostro disco, “Il cielo è pieno di stelle”, lo stesso che dà nome anche alla serata che ci aspetta, richiama il testo “Mal di te” del nostro cantautore: perché la scelta di queste parole in particolare?

Fabrizio: «A noi ci lascia immaginare Pino che dà lassù continua a illuminarci con la sua musica. Quando suoniamo la sua musica, ci sentiamo illuminati: vediamo le stelle anche quando è nuvoloso, piove»

Lui si definiva “un ricercatore che fa il cantante, il chitarrista”, un ricercatore immerso nella musica, la stessa che gli permetteva di essere in ricerca…e la musica per voi?

Fabrizio: «La musica per me è stare bene, è riuscire a trovare la pace mentre suono: è salire sul palco e comunicare qualcosa alla gente»

Julian: «Per me è legata un po’ a quanto dicevamo prima: ci si può conoscere anche in un atro modo attraverso la musica. È come se fosse un’ulteriore intimità che abbiamo, che sperimentiamo perlomeno fra di noi e che poi speriamo arrivi al pubblico. Come se fosse un’altra verità: è forte e delicata al tempo stesso. Lì non si può mentire: ci sono delle cose che non si possono nascondere quando si suona e allo stesso tempo, essa da modo di comprenderne altre ancora meglio»

Fabrizio: «Noi immaginiamo il palco come il proseguimento della giornata e c’è sempre molto rispetto degli spazi, cosa importante quando si viaggia insieme, anche tra colleghi. Sapere, comprendere di cosa l’altro ha bisogno e aiutarsi: se c’è un buon dialogo e si sta in pace e serenità, questo si riflette e si sperimenta anche sul palco, dove si prendono anche più rischi, perché comunque si è giudicati da un pubblico. È come mettersi a parlare in pubblico, ma con i nostri strumenti, i quali per noi rimangono il mezzo più congeniale per comunicare, forse ancor di più della parola»

MACERATA, Teatro Lauro Rossi,  25 ottobre 2024

 

Intervista di Deborah Mazzieri

(nell’ambito del Laboratorio “IMPROVEisACTION” organizzato da Macerata Jazz e Università degli Studi di Macerata )

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