ImproveIsAction: intervista a Seamus Blake

Con la 52^ edizione di Macerata Jazz parte anche ImproveIsAction, il laboratorio rivolto agli studenti dell’Università di Macerata.

Coordinati dall’Associazione Musicamdo, organizzatrice del festival, i ragazzi diventano parte attiva dell’evento organizzando una redazione che sviluppi lo storytelling di tutte le attività in programma.

In questo primo weekend, gli iscritti al laboratorio hanno affiancato lo staff della comunicazione nel corso del festival sviluppando materiali per le pagine social del laboratorio, contenuti di testo ad hoc e interviste.

Il primo ad essere intervistato, è stato il protagonista assoluto della serata di apertura della rassegna: Seamus Blake, sassofonista canadese di fama internazionale:

16/10/2021 – di Mariamichela Perna

Vincitore di un importante premio come miglior sassofonista, il Thelonius Monk Award, Seamus Blake è uno dei volti più importanti della musica jazz internazionale. La sua identità musicale, brillante e carismatica, affonda le radici nella storia del jazz ma accoglie anche molteplici influenze contemporanee.
Dalla Germania è giunto a Macerata per aprire, insieme al suo quartetto, la 52° edizione del Macerata Jazz, e dopo aver coinvolto il pubblico con suoni ed emozioni, si è fermato a fare due chiacchiere con noi.
Ecco l’intervista

Il Seamus Blake quartet ha aperto la 52° edizione del Macerata Jazz. Se vogliamo parlare di esibizione, come vive l’esperienza del palco? E com’è tornarci dopo molto tempo?

Vivo tantissime sensazioni ogni volta. Ad ogni esibizione cerco di sentire l’energia del pubblico, l’emozione del pezzo che sto suonando e soprattutto mi immergo nel mood del pezzo. È importante anche ascoltare gli altri musicisti e comunicare con loro. Cerco inoltre di rilassarmi, di sentire tutto, ciò che c’è di buono e ciò che c’è di strano, a volte l’esibizione scorre via con naturalezza, altre volte non tanto. In ogni caso cerco sempre di immergermici completamente.

 

Lei è stato vincitore nel 2002 del Thelonious Monk Award come migliore sassofonista, premio che gli è stato assegnato da una giuria comprendente Wayne Shorter, George Coleman e Joshua Redman. Come ricorda quel momento e cosa le ha lasciato questo particolare riconoscimento?

Fu senz’altro una bellissima esperienza. Ho partecipato al concorso perché ero felice di poter incontrare Herbie Hancock e Wayne Shorter: li considero i miei punti di riferimento. Non ho mai cercato di entrare in competizione con gli altri e non mi aspettavo di vincere quindi fu una bella sorpresa ma anche una grande opportunità che mi ha aiutato tanto. Dopotutto la musica non è competizione.

Oltre al jazz, quale altro genere musicale ha influenzato il suo percorso artistico?

Ci sono molti altri generi che ascolto e che mi piacciono, di stili diversi. Dalla musica classica al rock ‘n’ roll, dal funk all’elettronica. Qualche volta mi piace magari ascoltare un cantante in un genere diverso rispetto a quello che fa di solito. In fin dei conti credo che una bella canzone è una bella canzone, aldilà dello stile. Mi sento sempre più ispirato dalla composizione che dal genere.

Mi aspettano tante altre tappe. La prossima sarà in Francia, poi sarà la volta del Portogallo e così via…

 

Mariamichela Perna

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